Liceo Statale “Archita”
COMUNICATO STAMPA
Sarà davvero il 2010 l’anno che vedrà la rinascita dello storico Palazzo degli Uffici e quindi della città e del Borgo? Questa volta riteniamo proprio di sì!
Innanzitutto perché può essere definita davvero storica l’approvazione, da parte di tutto il Consiglio comunale di Taranto, dell’accordo Comune - Siel per la ristrutturazione del Palazzo degli Uffici e poi perché l’impegno del Comitato pro Archita & Palazzo degli uffici in questi mesi, l’impegno stesso profuso dal Sindaco, dall’intera Amministrazione comunale, dal Consiglio di quartiere Borgo e, in particolare, dagli assessori Spalluto e Capriulo, hanno conseguito questo primo concreto e importante risultato.
Né vogliamo dimenticare, in questo frangente, l’impegno dell’Amministrazione provinciale di Taranto che già da tempo aveva iscritto in bilancio la cifra necessaria per la ristrutturazione di quella parte del Palazzo che ricade sotto la sua competenza: ossia la parte in cui sarà ubicato il Liceo “Archita”.
Come si evince dalla lettura dei giornali, i termini dell’accordo prevedono due punti per noi fondamentali: l’assegnazione al più antico Liceo della città di
Una ristrutturazione che, oltre a dare all’Istituzione scolastica più antica della città una sede prestigiosa e unica, significherà anche la restituzione alla fruibilità dei cittadini di un bene di inestimabile valore e coinciderà con la stessa rinascita culturale ed economica dell’intera città e del Borgo in particolare.
Il Comitato pro Archita e Palazzo degli Uffici ringrazia il Consiglio comunale di Taranto per aver voluto approvare all’unanimità un atto così significativo e di così grande valenza poltica.
Naturalmente questo importante traguardo non potrà, in alcun modo, significare la smobilitazione del Comitato che continuerà invece ad operare e vigilare perché gli impegni assunti da parte di tutti siano effettivamente mantenuti e perché il mese di marzo veda davvero l’inizio dei lavori.
IL COMITATO PRO ARCHITA & PALAZZO DEGLI UFFICI
Taranto, 22.12.2009
Si è svolto dal 6 all'8 dicembre 2009 a Castellammare di Stabia il II Congresso Nazionale dell'AICC.
11 ottobre 2009 - Escursione a Brindisi.
Speriamo bene ... intanto, ogni giorno tutte le testate locali dedicano ampio spazio alla questione "Archita".
Scena dell'"Edipo a Colono" di Sofocle.
E' iniziato giovedì 23 aprile 2009, nella sede della Cittadella delle Imprese, il ciclo di conferenze sui 500 anni di Taranto dal 709 al 209 a.C., organizzato dalla Fondazione "Taranto e la Magna Grecia".
Presentazione del libro "Uomini e caporali" di Alessandro Leogrande
Al Liceo “Archita”: il prof. Roberto Nistri presenta il libro di A. Leogrande, Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud.
Qualche giorno fa un ex-alunno del Liceo “Archita”, Alessandro Leogrande, ormai famoso giornalista e scrittore impegnato, ha incontrato gli studenti dell’Istituto per parlare con loro del suo ultimo libro, Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud, edito dalla Mondadori.
A presentare l’autore e il libro è stato invitato il prof. Roberto Nistri, ex-docente di Storia e Filosofia del Liceo, che in un discorso molto chiaro ed efficace ha illustrato il percorso culturale fatto dal giovane autore tarantino e gli aspetti salienti del suo libro. Sin da studente, ha affermato il relatore, Leogrande ha mostrato il suo desiderio di percorrere sentieri nuovi, anteponendo al suo dovere di studente, che pure svolgeva in maniera brillante, la sua curiosità per i problemi dell’attualità, in particolare quelli sociali, di cui ricercava le cause politiche ed economiche. Della società lo interessavano - e continuano ad interessarlo, come dimostra il problema affrontato nel suo ultimo libro - le fasce deboli, gli emarginati, gli sfruttati, gli oppressi, gli “stranieri” (a Roma, dove attualmente vive, tra le sue prime iniziative culturali Leogrande ha fondato la rivista “Lo straniero”, perché, sottolinea Nistri, quella dello straniero è la “categoria esistenziale” del nostro autore); egli è “uomo dell’attualità, ma ha la passione per la storia, per il passato prossimo e remoto”; nel suo libro i fatti di oggi (la storia dei braccianti agricoli polacchi trattati come schiavi da caporali anche loro polacchi) si mescolano a quelli di ieri (le lotte dei contadini nel biennio rosso in Puglia, culminate nella strage del luglio 1920 a Marzagaglia, nel territorio tra Castellaneta e Gioia del Colle). Il pregio principale della scrittura di Leogrande, secondo Nistri, è la volontà di “parlare chiaro” - gli stessi sottotitoli aggiunti ai titoli (per es. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud) dimostrano questo suo intento – un “parlar chiaro” che al relatore ricorda la maniera di scrivere di Primo Levi, in uno stile asciutto, senza indulgere alla facile retorica. Ma come “cartografo di sentieri oscuri” - così lo ha definito Nistri – ha privilegiato sempre nella sua ricerca argomenti sì di attualità ma poco trattati dai media, come ad esempio la civiltà dell’industria mangiauomini nel primo dei suoi libri, Un mare nascosto o il contrabbando tra i Balcani e la Puglia ne Le malevite o il regno del cemento ne Il paese dei viceré, fino al “regno dei pomodori” in quest’ultimo libro. E’ quanto l’autore stesso scrive, a pag. 247: “Appurare come sono andate le cose. Questo era l’obiettivo. Questo è sempre stato l’obiettivo… Restaurare la memoria …” Ovviamente, nel racconto, lui sta dalla parte delle vittime, dei morti, in particolare, di quei morti “che nessun libro di storia, nessun articolo di cronaca ha mai menzionato, …(quelli) che nessuno ricorda …” (sono parole dell’autore). La sua operazione è quindi quella di riportare alla luce, di far conoscere una sorta di microstoria, perché, senza di questa, la grande storia non esisterebbe, come hanno insegnato storici, filosofi, letterati. A proposito della scrittura, che è una bella scrittura, si tratta, nota Nistri, di una “scrittura drammatica”, che ben si adatta ad un’opera che non è un saggio e non è un romanzo, ma, piuttosto, un “saggio raccontato”, che intende illustrare la “gigantesca rivoluzione antropologica” creatasi nel mondo contadino, la sostituzione, cioè, di un nuovo caporalato, fatto di stranieri, per lo più polacchi, a quello classico italiano. Il dramma è proprio questo: i caporali, cioè, quelli che assoldano i braccianti per il lavoro stagionale nei campi (nel caso di questo libro la raccolta dei pomodori) sono anch’essi stranieri come i braccianti, e li trattano con crudeltà spesso gratuita.
L’autore, prendendo la parola, ripercorre le varie tappe che lo hanno portato a scrivere il libro: la prima sollecitazione gli venne dalla lettura dell’articolo dell’unica giornalista, una polacca, che, dopo il blitz dei Carabinieri al casolare chiamato Paradise, situato vicino ad Orta Nova (Foggia), casolare vicinissimo alla strada (strano che nessuno sapesse niente di quel che vi accadeva), riportò la notizia di braccianti polacchi trattati come schiavi da caporali polacchi per conto di imprenditori italiani; nello stesso articolo si parlava dell’impossibilità per questi braccianti di scappare, della morte che toccava a chi protestava, ed anche della sparizione di molti, ma, soprattutto, per la prima volta si parlava di braccianti ridotti in schiavitù. Dopo un primo contatto con questa giornalista, Leogrande, grazie anche a lei, ha contattato persone in Italia e in Polonia, ha parlato con i pm della Direzione distrettuale Antimafia, con gli studenti Kuba e Marco, che hanno avuto il coraggio di scappare dal Paradise e di denunciare le condizioni di stenti in cui vivevano insieme agli altri braccianti (senza la loro denuncia, non ci sarebbe stato il blitz dei Carabinieri né l’inchiesta della magistratura né infine il processo contro i caporali che ha portato alla condanna di sette di loro per il reato di “riduzione in schiavitù”, in base all’art. 600 del Codice penale). Attraverso numerosi colloqui e sopralluoghi Leogrande ha potuto raccontare questa nuova realtà del mondo lavorativo nelle campagne, dominato da brutalità, violenza, efferatezza, destinato a rimanere sconosciuto, se qualcuno dei maltrattati non fosse riuscito a fuggire, come è capitato ai tre studenti polacchi. Venuto a conoscenza di tale dura realtà, Leogrande non poteva non scrivere questo libro, non poteva lasciare ancora una volta nell’oblio tutti coloro che hanno sofferto fino a perdere la vita. Glielo ha insegnato il filosofo tedesco Benjamin, che teorizzò che le lotte, le rivoluzioni non si fanno solo per i vivi, ma anche per i vinti di ieri, per questo bisogna dare loro un nome, riportarli alla storia. Ma, come mai tanta efferatezza, tanta crudeltà oggi nel mondo del lavoro agricolo? Questo è l’inquietante interrogativo che sgomenta l’autore. Dopo i campi di concentramento, dopo i massacri, le stragi, le guerre, ancora l’uomo ripete gli stessi orrori? E’ evidente, conclude l’autore, che qui non si tratta di ragioni puramente economiche, ma ci sono ragioni sociologiche e psicologiche che spingono l’uomo al male. “Il compito di oggi è quello di capire”, scrive Leogrande. “Capire che il passato e il presente sono legati a filo doppio; che il passato ha fatto irruzione nel presente, anzi, in verità, non ha mai lasciato il campo”. E allora bisogna ricordare i fatti di ieri, perché “la memoria è l’unica arma che permette di comprendere la natura di questa violenza, di individuarne la dinamica nel presente alla luce di quanto è avvenuto nel passato”.
L’autore ha, infine, risposto ad alcune interessanti domande degli studenti, che hanno mostrato curiosità per le storie raccontate nel libro e soprattutto per l’impegno politico-sociale del giovanissimo scrittore.
Francesca Poretti
(articolo pubblicato sul Corriere del Giorno - 5 marzo 2009)
Ieri sera si è tenuto l'incontro organizzato dal Liceo "Archita" e dalla Associazione Italiana di Cultura Classica per la presentazione del libro di Tommaso Anzoino, LI'.
Lì
Di Tommaso Anzoino
Impressioni di lettura.
Sono, ero (direbbe Anzoino), un professore di Latino e Greco, un po’ cartesiano, del chiaro e distinto, amo la lettura, e mi sono con curiositas, aspettando il Lector, laetaberis di Apuleio, accinto alla lettura del suo nuovo romanzo: “Lì” appunto.
L’ho letto. Non una volta sola. E’ scorrevole, ma non di immediata comprensione-
In tutto il testo c’è una girandola di dittici, indefiniti, di pronomi, di tempi, un succedersi in libertà, almeno apparente, di associazioni di idee, immagini, suggestioni, che alla fine risucchiano il lettore nel loro vortice caleidoscopico, una serie notevole di allegorie, un mondo onirico, cui dà ordine solo la ricorrente insistenza sulle posizioni, fisiche, del narratore (dei narratori). E’ autobiografico? Forse. Ma c’è di tutto. Problemi ambientali, ricordi infantili, ricordi di ogni tipo: sogni, letture, ascolti, viaggi, studi, esperienze, giochi, film visti, persone e animali frequentati; e ci sono note di politica, poche, riflessioni morali, confessioni e suggerimenti di didattica, spunti di comprensione della realtà del mondo dell’infanzia, e soprattutto, secondo me (che al Preside non piace) un senso del mistero, del rinvio ad altro, e una grande nostalgia, che è insieme un’ immanenza del passato nel presente e nel futuro un senso sereno di morte, e progetti di vita e di scrittura nuovi: alcuni esempi degli ultimi: una antologia di Spoon River nuova, una Nova Medea, tragedia di una maga buona, le memorie di un becchino che parla con le bare, una saga familiare con ricerche storiche preliminari.
E tante citazioni, mai gratuite: punteggiano il discorso ma sono più incontri, allusioni, riprese, immedesimazioni, modi di essere, come dice Anzoino ed anche Saramago, rinviano e richiamano tutto un contesto, tutta una sensibilità, valgono una lunga digressione esplicativa: ci sono gli amati italiani, Dante, Foscolo, Leopardi, Pascoli, gli Americani del Nord e i suoi cari ed amati latinoamericani, i greci, tra cui su tutti Leonida di Taranto, i latini, e Agostino e i neogreci, Kavafis e i suoi barbari fra gli altri e gli Italiani recenti Pasolini, Ginzburg, con ricordi autobiografici forse.
Il tutto è narrato in un italiano sorvegliato e veloce, che utilizza diversi registri, dal pacato, predominante, al triviale, a tratti, sempre pronto a nascondersi dietro un pudico velo di autoironia, o in una rapida digressione: uno scritto che ricorda le aeree geometrie del volo di una mosca, che unisce punti inconsueti, o del saltare di una cavalletta, che si ferma quanto e dove crede sia importante: in ciò ricorda Seneca e la sua prosa suggestiva e a strappi.
Ma forse c’è anche il vento che scombinava le foglie nell’antro della Sibilla e rendeva più ardua la comprensione degli oracoli, o quel conturbare i milia multa, ne sciamus, aut ne quis malus invidere possit di Catullo nella sua aritmetica dei baci.
E’ un comporre a schede, come sostiene Canfora (non Pereira), scrivevano Tucidide e Platone.
E a cento anni dal Manifesto dei futuristi, mi sembra che questo scrivere abbia raggiunto un livello di espressività, di efficacia, che a me piace e non avrei sospettato fosse raggiungibile.
Se non la laetitia, il gaudium certo lo può procurare questa lettura, oltre a molte altre preziose riflessioni. Ed io posso dire di aver conosciuto meglio l’autore, averlo capito di più, e aver insieme ritrovato l’amico di giovinezza che egli è stato.
Conferenza del prof. Adolfo Mele su Gronovius
Biblioteca Comunale di Taranto, una conferenza su GRONOVIUS, autore del Thesaurus Antiquitatum Graecarum.
MARTEDI’ 13 GENNAIO 2009, ORE 17.30 PRESSO LA BIBLIOTECA “ACCLAVIO”
Si è tenuto qualche sera fa, organizzato dall’Associazione “Amici dei Musei” presso la Biblioteca civica “Acclavio” di Taranto, un incontro sul tema: “I fondi Lacaita e Gagliardo della Biblioteca Acclavio”, a cura del Prof. Adolfo Mele e della Dott.ssa Jessica Petrosillo. L’iniziativa, presentata dalla dott.ssa Annapaola Albanese, è stata favorita dalla disponibilità e dall’impegno della responsabile della Biblioteca, Sig.ra Pavone.
Nella civica Biblioteca Acclavio, grazie alla munificenza di alcuni benefattori, sono conservati pregevoli fondi legati a personalità di notevole rilevanza storica: Pietro Acclavio, Giacomo Filippo Lacaita, Cataldo Gagliardo e Francesco Nitti. Del fondo Lacaita si è interessato il prof. Adolfo Mele, che ha illustrato la figura di Giacomo Filippo Lacaita e uno dei testi più importanti da lui donati alla Biblioteca, il Thesaurus antiquitatum Graecarum di Gronovius, Gagliardo e il fondo da lui lasciato, in particolare il Codice napoleonico, sono invece stati oggetto di studio della dott.ssa Jessica Petrosillo.
Figura poliedrica, il manduriano Giacomo Filippo Lacaita (Manduria 1813-Posillipo 1895), fu avvocato, patriota, politico, diplomatico, docente di lingua e letteratura italiana a Londra e ad Edimburgo, collaboratore di riviste e della Encyclopaedia Britannica, presidente della Banca anglo-italiana, interessato allo sviluppo delle ferrovie Napoli-Brindisi, Ancona-Brindisi, ferrovie maremmane, fautore della scelta di Brindisi come terminal della Valigia delle Indie. Con doppia cittadinanza italiana e britannica, fu nominato Sir dalla corte inglese, deputato nel Regno d’Italia e infine senatore dello stesso Regno. Collaborò alla cessione da parte del governo inglese delle Isole Ionie alla Grecia. La sua più famosa e riuscita impresa diplomatica fu ottenere nel 1860 il ritiro degli Inglesi dal blocco navale dello Stretto di Messina che permise a Garibaldi di sbarcare in Calabria e concludere l’impresa dei Mille. Amava l’amicizia e le buone compagnie: nella sua villa di Leucaspide ha ospitato tra gli altri Luciano Bonaparte, l’archeologo Sir Arthur Evans, la scrittrice inglese Janette Ross, il glottologo Gerhardt Rohlfs, gli storici Pasquale Villari, Raffaele De Cesare e Giuseppe Gigli, il direttore del Museo di Taranto Luigi Viola nonché il suocero, banchiere e discusso mercante d’arte, Carlo Cacace. Suoi ospiti furono anche vescovi, arcivescovi re o principi di case reali: Monsignor Jorio, l’imperatrice Vittoria di Prussia madre del Kaiser Guglielmo II e il re Paolo di Serbia.
Era anche un amante di libri; li acquistava con passione e amore da bibliofilo, li trasferiva con sé, li aveva sistemati in un’ala della sua villa di Leucaspide e nel 1932 il figlio Charles donò l’ingente patrimonio, oltre 2000 libri, alla biblioteca Pietro Acclavio. Alcune opere le ha anche scritte: una Selection from the best Italian writers, il terzo volume dell’edizione dell’Inferno di Dante, lasciata incompleta per la morte di Lord G. Warren Vernon, la pubblicazione del Commentum super Dantis Aldigherij Comoediam di Benvenuto da Imola.
Nel fondo Lacaita sono presenti libri che spaziano dalla storia alla poesia, dal diritto alla medicina, alla scienza, dalla letteratura latina e greca a quella moderna (italiana, francese, inglese e tedesca), dalla teologia alla storia e al diritto ecclesiastici; pochi invece sono i romanzi. Del fondo fanno anche parte diversi documenti autografi: lettere e altri scritti raccolti in buste. Tutto questo materiale attende ancora uno studio approfondito, dato il valore storico di documento di una personalità interessante, di due culture, italiana e inglese e anche della storia di Taranto.
Tra gli altri testi di rilevante interesse sono i 13 volumi in folio del Thesaurus Antiquitatum Graecarum di Jacobo Gronovio, dotto filologo olandese nato a Deventer nel 1645 e morto a Leida nel 1716. Tra le sue opere edizioni critiche e commentate di vari autori, tra cui Tito Livio, Macrobio, Polibio, Tacito, Stefano Bizantino, Pomponio Mela, Ammiano Marcellino, Luciano di Samosata, Curzio Rufo, Arpocrazione, Scilace e il Periplo anonimo del Mar Nero, Manetone, dissertazioni e prolusioni in latino, edizione delle poesie del poeta olandese Caspar van Kinschot, nonché traduzione dall’italiano in latino delle opere sulle gemme e le sculture antiche di Leonardo Agostini.
Convinto che la cultura classica, al di là degli errori del paganesimo, dovesse essere unificante e civilizzatrice nel nome della libertà da essa testimoniata, il Gronovio si rivolgeva in particolare alle due grandi Repubbliche borghesi e mercantili delle Province Unite di Olanda e di Venezia perché, superando le divisioni delle guerre di religione, come quella dei Trent’anni, se ne facessero sostenitrici. Attento anche alla rivalutazione delle scienze naturali ha dedicato particolare impegno alla vita quotidiana degli antichi, alle loro usanze e tradizioni, alla loro organizzazione politica e sociale ed ha fatto stampare con accurate xilografie o calcografie, ad opera di illustri artisti, immagini di monumenti, iscrizioni, oggetti, armi, monete descrivendole con attenta cura e citando passi di autori antichi più adatti a spiegarli. In ciò, come anche nel titolo (antiquitates, appunto) influiva anche il ricordo delle Antiquitates di Marco Terenzio Varrone, opera perduta ma ordinata per argomento e non alfabeticamente; nei primi 4 libri del Thesaurus si nota anche la suggestione delle Imagines dello stesso Varrone. Secondo Arnaldo Momigliano questo modo di illustrare cose e monumenti educò il nascere del senso estetico, valorizzò le arti plastiche e figurative, preparò il nascere del neoclassicismo e forse influenzò anche gli autori dell’Encyclopédie francese.
Cataldo Gagliardo nacque a Taranto nel 1871, valente avvocato e cittadino attento alla realtà sociale del luogo natio, ricoprì moltissime cariche con assoluta adeguatezza e per questo stimato e apprezzato da tutta la cittadinanza. Alla sua morte avvenuta in Taranto il 2 ottobre 1926, la sua biblioteca, composta da opere giuridiche di inestimabile valore (ma tra di esse vi sono anche opere di altro genere), fu donata per volontà dello stesso Gagliardo alla Biblioteca civica Pietro Acclavio, la quale acquisì la donazione nel 1930. Nella stessa Biblioteca oltre ai libri dell’illustre cittadino è conservato anche il suo busto bronzeo.
Tra le opere presenti nel fondo, ancora in fase di studio, si distinguono il Codex Theodosianus del Gothofredus, Il processo a Gesù di Giuseppe Rosadi, narrazione della vita, passione e morte di Gesù con particolare riferimento alla situazione storico-politica del tempo e svariati cenni di carattere giuridico. L’autore, Giovanni Rosadi (1863-1925), avvocato di Lucca, fu attivo sia nel campo letterario con poesie, drammi ed opere narrative, sia nel campo della politica, ricoprendo le cariche di deputato e senatore. Ancora, le Epistole di M. Tullio Cicerone a’ familiari
traduzione in volgare toscano con testo latino a fronte delle Epistulae ad familiares di Cicerone, pubblicata in tre tomi a Napoli nel 1769. Il traduttore, Alessandro Maria Bandiera (1699-1765), gesuita senese, insegnò Sacra Scrittura e lingua greca nelle Marche e scrisse anche versioni in volgare delle Orazioni e degli Uffizi dello stesso Cicerone e delle Vite degli eccellenti comandanti di Cornelio Nepote.
Sono presenti anche opere legislative come la raccolta delle Leggi e decreti reali del Regno delle Due Sicilie dal 1806 al 1860, le Leggi e decreti reali del Regno d’Italia dal 1861 al 1925, il Codice di Napoleone il Grande nel Regno d’Italia del 1806.
Inoltre vi sono opere di giuristi stranieri come Il sistema di diritto romano attuale di Friedrich Karl von Savigny traduzione italiana, curata da Vittorio Scialoja, dall’originale tedesco System des heutigen römischen Rechts, monumentale opera di diritto romano in 8 volumi; Savigny (1779-1861) fu un insigne giurista di Francoforte, esponente della scuola storica del diritto e fondatore della pandettistica, scuola il cui nome deriva dallo studio critico delle Pandette di Giustiniano.
Ed infine per concludere, anche se il fondo è ricco di altre opere, degne di nota sono gli Institutionum iuris canonici libri quatuor di Carlo Gagliardo opera di diritto canonico divisa in quattro volumi, pubblicata a Napoli nel 1763 e scritta per il seminario di Pozzuoli. Sul recto della prima carta di guardia anteriore è presente una dedica di Leonida Colucci all’amico avvocato Cataldo Gagliardo, discendente dell’autore, a cui lo stesso Colucci donò il libro nel 1920.